Vicchio, alla scoperta del museo “Beato Angelico”
Ultimo appuntamento alla scoperta del Museo di arte sacra e religiosità popolare Beato Angelico.
Il Mugello fin dall’antichità è stato scenario di numerose espressioni artistico-culturali, culla di artisti, casa di mecenati, rifugio di poeti e bottega di artigiani, un territorio che ha conosciuto l’arte e l’ha tramandata nei secoli. In tutto questo si inserisce un filone, quello religioso, testimoniato dall’esistenza di una preziosa produzione di immagini sacre, argenti lavorati, arredi, tessuti e ricami hanno arricchito nei secoli le chiese disseminate nei borghi e nelle campagne mugellane. Artisti illustri e artigiani di fama hanno, infatti, lasciato le tracce del loro passaggio impreziosendo queste zone con le loro opere a carattere religioso a testimonianza di come Pievi e Chiese svolgessero un ruolo centrale rappresentando il vero tessuto connettivo della vita sociale, spesso unico punto di riferimento nella vita quotidiana dei popoli. Una testimonianza che rischiava di andare perduta, dispersa o frammentata, a cui il Museo di Arte Sacra e religiosità Popolare Beato Angelico dal 1967 pone rimedio, divenendone il principale custode.
L’inizio della storia del Museo di Arte Sacra e Religiosità Popolare si lega a doppio filo con la fine di un’altra storia: quella del mondo contadino mezzadrile, una forma di vita che per secoli aveva caratterizzato il territorio mugellano. Il cambio di vita portò, negli anni ’60, all’abbandono di molte case da parte dei contadini per cercare fortuna in altri settori lavorativi e in altre zone. Fu così che i piccoli centri si svuotarono e le loro chiese, un tempo fulcro principale di queste piccole comunità, iniziarono a spopolarsi fino quasi all’abbandono. Da qui l’esigenza di un Museo che potesse conservare l’enorme patrimonio artistico racchiuso fino ad allora in questi luoghi di culto rimasti ormai incustoditi ed esposti a rischio di dispersione, degrado o furto.
Proprio la problematica dei furti, che colpì in modo particolare l’area del Mugello già nei primi del ‘900 depauperando chiese e pievi dei propri tesori, fu la principale ragione che portò nel 1967 alla nascita della raccolta museale, da prima collocata in una sala comunale e successivamente spostata nel 2000 nella sua sede attuale nei locali dell’ex consorzio agrario nei quali è stata arricchita di nuove opere. All’interno del museo, oltre alle opere salvate preventivamente dal rischio di un possibile furto, ci sono anche dipinti recuperati dopo essere stati trafugati, talvolta integralmente talvolta purtroppo solo in parte. Ne è un esempio la grande pala che ornava l’altare maggiore della Chiesa di Sant’Andrea a Barbiana nella quale per molti anni Don Milani disse Messa.
Oltre alla pala d’Altare settecentesca con la raffigurazione dell’Incoronazione della Vergine e i santi Andrea e Lorenzo, nel furto del 1993 la piccola chiesa di Barbiana fu privata anche di numerosi oggetti liturgici e di un’acquasantiera in marmo del sedicesimo secolo che venne sradicata dal pavimento a picconate. Stessa sorte capitò anche alla badia del Buonsollazzo a Borgo San Lorenzo, alla pieve di San Giovanni Maggiore a Panicaglia e alla chiesa di Sant’Ansano che fu addirittura trafugata più volte.
Ma a mettere in pericolo e a privare il territorio del suo patrimonio artistico culturale non furono soltanto i furti ma anche terremoti, le guerre e trasferimenti, talvolta necessari e talvolta impropri. Come la testa di San Giovanni Battista attribuita ad Andrea della Robbia e rinvenuta nel 1993 sul fondo di un armadio nella chiesa del crocifisso di Borgo San Lorenzo. Il busto, datato attorno al 1505/1510, faceva probabilmente parte di una pala d’altare o di un gruppo scultoreo andato disperso o distrutto.
Parte del patrimonio artistico è stato poi distrutto dalle ripetute e talvolta catastrofiche calamità naturali come i terremoti che hanno sommato ai lutti per le perdite umane anche una considerevole distruzione del patrimonio artistico. Un’acquasantiera della seconda metà del 200 ad esempio è diventata uno dei simboli principali del museo dopoché si è resa necessaria la sua dislocazione in seguito alla demolizione della sua Chiesetta del Rossoio ormai resa pericolante e inagibile dal terremoto del 1919. La rarissima e bellissima acquasantiera è scolpita su un unico blocco di marmo con delle raffigurazioni ruvide e fortemente espressive che corrono lungo tutta la vasca, un’opera di notevole interesse e originalità sebbene di fattura popolare. La presenza di quest’opera, così come tante altre presenti nel museo, è giustificata e resa necessaria dalla constatazione che purtroppo molti edifici religiosi anche di notevole pregio architettonico non presentano più condizioni di sicurezza sufficienti per la conservazione del loro patrimonio artistico mobile.
Ma se alcune opere non possono più essere custodite all’interno delle proprie sedi originali, il discorso si allarga anche alle tante espressioni artistiche presenti all’esterno lungo strade del territorio, come i tabernacoli. All’interno del museo, infatti, si trovano anche due grandi tabernacoli, staccati dai loro luoghi originali per salvarli dalle intemperie e dal logoramento del tempo. Nel Mugello esisteva una fitta rete di immagini devozionali, alcune delle quali di grande qualità artistica e di notevole interesse storico. Come il tabernacolo di Rupecanina o quello di campestri della seconda metà del 400, entrambi raffiguranti la madonna con il bambino, espressione dell’importanza del culto mariano in queste zone. Tante sono infatti le opere che mettono al centro la figura della vergine Maria, rappresentata spesso come madre amorevole o come giovane donna con il cesto da lavoro, come ad esempio nell’opera pittorica della bottega di Iacopo Chimenti detto l’Empoli o nelle annunciazioni di Furini e Taccheroni entrambe del XVII secolo. Tra le opere più prestigiose della madonna con il bambino non possiamo infine non citare la tavoletta di Pesellino che alla metà del ‘400 raffigura la vergine come madre dolce e protettiva ma già consapevole della drammatica sorte che riguarderà il figlio il quale viene rappresentato con in mano un cardellino, simbolo del suo futuro sacrificio.
Il tema della maternità ha da sempre contraddistinto l’arte devozionale e la religiosità popolare, come dimostra un prezioso ritrovamento all’interno degli scavi etruschi di Poggio Colla. Qui, sopra un frammento bucchero, è stata rinvenuta una rarissima scena di parto risalente al 600 Avanti Cristo la cui datazione la rende la più antica mai ritrovata in tutto il mediterraneo. Questa assieme ad altri bronzetti ritrovati durante gli scavi hanno portato gli archeologi a ritenere che poggio colla fosse in antichità un santuario dedicato ad una divinità femminile.
Prima di concludere la nostra visita al Museo di Arte Sacra e Religiosità popolare non possiamo non citare uno dei principali motivi per il quale le campagne mugellane risultano così ricche di opere artistiche firmate dai più importanti artisti dell’epoca. La risposta sta nella committenza, a portare l’arte nel Mugello sono state soprattutto le ricche famiglie nobiliari e mercantili che scelsero queste zone per costruire il proprio impero segnando con le loro committenze e le loro devozioni i luoghi di culto e ricoprendo un ruolo fondamentale all’interno di alcuni complessi religiosi. I medici, ad esempio, hanno portato artisti del calibro di Donatello, Michelozzo, della Robbia e tanti altri, ma non furono gli unici. La collezione artistica mugellana è frutto di tante famiglie che nel corso dei secoli con le loro committenze hanno impreziosito queste terre lasciando in eredità un inestimabile tesoro, parte del quale viene custodito all’interno del museo vicchiese.
Le funzioni a cui risponde questo “piccolo museo” sono dunque grandi: salvaguardare il patrimonio a rischio di dispersione e degrado, far comprendere quale importante tessuto connettivo della vita sociale siano state nel passato le chiese di campagna e offrire al visitatore la meraviglia della scoperta di autentici tesori d’arte che, in questa dimensione raccolta, possono essere apprezzati e goduti con un attenzione e un gusto particolare.
Francesca Parrini
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